Lettera aperta del Segretario generale della Cgil di Imola, Paolo Stefani

“Stare dalla parte dei più deboli è un tratto identitario del sindacato ed è una scelta di vita per tutti i sindacalisti che decidono di dedicarci il loro impegno. La Cgil questa scelta l’ha fatta più di cent’anni fa con la consapevolezza che stare dalla parte dei più deboli è più difficile che stare col cappello in mano davanti ai poteri forti….”

Il nuovo Segretario della Cgil di Imola, Paolo Stefani
Il Segretario della Cgil di Imola, Paolo Stefani

Stare dalla parte dei più deboli è un tratto identitario del sindacato ed è una scelta di vita per tutti i sindacalisti che decidono di dedicarci il loro impegno. La Cgil questa scelta l’ha fatta più di cent’anni fa con la consapevolezza che stare dalla parte dei più deboli è più difficile che stare col cappello in mano davanti ai poteri forti.

Ho fatto questa premessa perché il dibattito in corso sulla riforma del lavoro ha assunto dei toni che francamente mi lasciano perplesso e che creano un’enorme confusione.

Le politiche europee degli ultimi anni, Italia in testa, hanno indicato la via liberista come unica soluzione per una economia in grande difficoltà, convinte che consegnare il nostro destino alle (non) regole del mercato sia l’unico modo per trovare un nuovo equilibrio e io considero questa scelta fatta dalle destre un grave errore storico.

Nel nostro Paese, dopo avere introdotto diverse leggi che hanno fortemente indebolito e precarizzato le lavoratrici e i lavoratori, contrastate dalla sola Cgil e per di più senza che queste abbiano creato nuova occupazione, siamo nuovamente di fronte a proposte che ancora una volta non creano lavoro ma rendono i deboli ancora più deboli.

Non si percorre quindi la strada delle politiche economiche di rilancio anticicliche, degli investimenti pubblici e privati, individuando gli asset strategici su cui incardinare la ripresa, considerando l’istruzione e la ricerca una delle grandi priorità di un Paese pieno di ricchezze intellettuali e creative, si spinge ancora una volta la società verso il basso prefigurando scenari in totale continuità con i Governi precedenti.

L’intelligenza dei nostri concittadini è messa ancora di più a dura prova quando le affermazioni a supporto affrontano il tema del cambiamento necessario come se fosse una carie da curare, anziché un progetto politico da discutere e confrontare con chi è investito nel ruolo della rappresentanza.

Va chiarito che le riforme non hanno un valore positivo intrinseco e possono rappresentare un avanzamento o un arretramento delle condizioni precedenti, se non si esce da questo equivoco non andiamo da nessuna parte.

Trattare in questo contesto lo Statuto dei Lavoratori come uno strumento arrugginito, escludendo persino il Parlamento con una delega in bianco, è un grave errore specialmente se viene fatto da un centro-sinistra erede di quelle intelligenze che l’hanno pensato e realizzato. Vorrei ricordare che quando il 20 maggio del ’70 venne approvata la Legge 300 si disse che finalmente la Costituzione entrava nelle fabbriche, e così è stato.

Difendere la propria dignità contro la volontà di annullarla in tanti posti di lavoro, sostenere la professionalità degli individui contro i tentativi di demansionamento o il controllo a distanza, fino alla libertà di poter scegliere di aderire a un sindacato senza il rischio del licenziamento, come succede oggi in Fiat, sono i principi fondamentali della Costituzione che entra nei posti di lavoro e che restituisce ai lavoratori il diritto e la democrazia per tanti anni negati.

Già la legge Fornero ha gravemente manomesso l’impianto normativo peggiorandolo, ma come si fa a definire una “riforma” questo tentativo di riportare in Italia il diritto del lavoro indietro di 45 anni, quando in tutti i Paesi più industrializzati queste norme ci sono? Per dirci moderni dobbiamo misurare il nostro grado di inciviltà negando la democrazia?

Queste sono le mie perplessità e trovo imbarazzante leggere certe affermazioni fatte da esponenti di sinistra sulla stampa in merito all’udito del sindacato sordo ai cambiamenti che intende ostacolare. Discussione che umilia prima di tutto le lavoratrici e i lavoratori che invece meritano rispetto.

Io non so chi rappresentano la consigliera Daniela Spadoni e Davide De Marco ma, per quanto mi riguarda, la Cgil di Imola rappresenta 22 mila iscritti tra lavoratori, pensionati e disoccupati, nei posti di lavoro pubblici e privati ci siamo tutti i giorni e, a differenza della politica, non veniamo sbattuti fuori.

E trovo anche inopportuno, come spesso si sente dire, il riferimento al 41% conquistato da Renzi alle europee, visto che la platea dei votanti è stata la più bassa della storia.

Tuttavia, se ha pazienza, arriverà anche per lui il momento di dimostrare la propria rappresentanza quando sarà per la prima volta in corsa, nel frattempo è bene che si concentri nell’impresa di creare del lavoro e di eliminare tutte le posizioni di rendita che in questo Paese alimentano delle ingiustizie sociali ormai giunte a un livello insopportabile e che vedono enormi ricchezze concentrate in una piccola parte della popolazione mentre gli altri diventano sempre più poveri.

Il nostro territorio, per esempio, conta oltre 13.000 disoccupati e 5.000 lavoratori che utilizzano gli ammortizzatori sociali, questo è il vero problema e loro sono i più deboli, ma spetta alla politica dare delle risposte che oggi non arrivano. Nascondendo le proprie incapacità parlando d’altro si fa un pessimo servizio alla società e le lavoratrici e i lavoratori sono stanchi di chiacchiere.

Vorrei inoltre tranquillizzare Spadoni e De Marco che la Cgil, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, è capace di ripensarsi da sé insieme ai suoi iscritti: ma lo fa anche tutti i giorni in prima linea difendendo i diritti delle persone che rappresenta e la piazza del 25 ottobre a Roma lo dimostra ampiamente.

Infine devono sapere, se fosse loro sfuggito, che la Cgil ha già presentato le sue proposte, alcune delle quali insieme agli altri sindacati, ma il Governo per ora sembra non essere intenzionato al dialogo, che non significa riesumare la concertazione, ma semplicemente riconoscere alle parti sociali il ruolo legittimo della rappresentanza consegnato da milioni di iscritti, in democrazia funziona così. Non c’è peggior sordo di quello che non vuole sentire!

Paolo Stefani

Segretario generale Cgil di Imola