La dignità delle donne, la ministra Lorenzin e il cervello bene comune

Vogliamo comunicare alla Ministra che la pancia delle donne non le appartiene così come le loro scelte libere…

Ci chiediamo se in un Paese come il nostro, nel pieno di una crisi economica che dura da quasi un decennio, con un Sistema Sanitario Nazionale sempre più in difficoltà per i continui tagli subiti, avessimo bisogno di un Ministro della Salute così cieco di fronte a qualsiasi evidenza.
La campagna denigratoria nei confronti delle donne, che sta destando per fortuna lo sgomento di tante cittadine e cittadini, per ricordare a noi sbadate, che “gli anni passano e le nostre ovaie si seccano” è uno degli atti più ipocriti che un governo si sia mai permesso di promuovere.
Possibile che la Ministra non conosca la riforma del lavoro voluta da Confindustria e votata dal suo governo?

Davvero non sa che la disoccupazione giovanile è oltre il 40%, i giovani sono costretti a lavorare gratis per poter fare pratica dopo la laurea, poi diventano precari a vita, con salari bassissimi?
Abbiamo conosciuto donne costrette ad interrompere la propria gravidanza per timore che il contratto a termine che si stava concludendo, non venisse più rinnovato.
E a queste donne, tante, che faticano a raggiungere un minimo di autonomia economica, che sanno perfettamente che al primo sintomo di gravidanza verranno licenziate, o alla meglio rimosse dall’incarico e demansionate, il Governo sbatte loro in faccia il manifesto con la clessidra?
Lo sa la Ministra che gli asili nido esistono solo in alcune realtà regionali? E dove ci sono, sa quale corsa ad ostacoli è trovare un posto? La preoccupazione della lista d’attesa? Le difficoltà economiche a sostenere il pagamento della retta, magari perché uno dei genitori è in cassa integrazione o perde il lavoro? Lo sa che con la riforma Fornero sulle pensioni è sparito l’ultimo pezzo di welfare a buon mercato, perché i nonni devono stare a lavorare?

Lo sa la Ministra che una fetta sempre più consistente della popolazione ha smesso di curarsi perché non se lo può più permettere? Che una legge tanto sofferta e tanto voluta come la 194 non viene applicata? Che le ragazze e i ragazzi abbandonano la scuola perché non vedono alcun futuro all’orizzonte?
Oggi al governo nessuno sapeva, nessuno aveva visto i manifesti, quindi nessuno sarà in grado di dirci con quale nuovo aumento delle tasse dovremo saldare il conto di questa buffonata.

L’odore di fascismo impregna l’intera campagna: la pancia delle donne è diventata “bene comune”. Fantastico! Un notevole passo avanti verso l’emancipazione femminile…. e noi, povere illuse, che pensavamo che l’autodeterminazione fosse la conquista di un valore e di un principio che nessuno deve mettere in discussione!
Ci viene da pensare che l’autore della prima campagna per l’aumento delle nascite, quello che aveva bisogno di soldati da mandare al fronte, distribuì gli assegni familiari e il Governo che cosa si inventerà: una giornata di permesso retribuito per correre tutti a riprodurci?

Vogliamo comunicare alla Ministra che la pancia delle donne non le appartiene così come le loro scelte libere. Le appartengono invece la scelta di utilizzare risorse pubbliche per esaudire le richieste di detassazione a vantaggio delle imprese e la responsabilità politica di condannare il welfare e la sanità pubblica allo sgretolamento.
A questo punto, vorremmo noi suggerire un messaggio per la campagna sulla fertilità: fate qualche figlio per garantirvi un minimo di assistenza quando ne avrete bisogno! Visto che tra qualche anno lo stato sociale sarà completamente smantellato, ai giovani toccherà una pensione inferiore al 50% del salario e una vecchiaia di stenti e al primo cenno di minore efficienza, grazie al Jobs Act saremo tutti licenziabili, Cara Ministra, lei non ci rappresenta, e i tanti messaggi indignati che sta ricevendo lo stanno confermando.

C’è un solo bene che siamo disposte a mettere in comune, ed è il cervello, perché davanti a tanta pochezza, a tanto vuoto da riempire, siamo disposte a metterne un po’ di quello che abbiamo.